Una delle questioni che più sta a cuore a genitori e insegnanti è come poter modificare i comportamenti inappropriati di figli e alunni. Attualmente, sono disponibili procedure specifiche che possono essere utilizzate, a casa come a scuola, nel momento in cui si abbia la necessità di intervenire sugli eccessi così come sui deficit comportamentali di un bambino.
In tali circostanze, si fa ricorso a quell'insieme di tecniche che, complessivamente, prende il nome di modificazione del comportamento.
Tra le varie strategie, una delle più controverse è la punizione. Faccio notare che il significato di punizione, per chi si occupa di modificazione comportamentale, è molto specifico e si differenzia dal significato generalmente attribuito al termine.
Tecnicamente, si fa riferimento al termine punizione per indicare che, se una persona mette in atto un comportamento che è immediatamente seguito da uno stimolo punitivo, è meno probabile che, in una situazione analoga, quella persona ripeta quello stesso comportamento.
Per stimolo punitivo si intende un qualsiasi evento che, se presentato immediatamente dopo un comportamento, ne provoca la diminuzione di frequenza.
In questi termini, la punizione non va intesa nè come un castigo, nè come un deterrente, ma rappresenta semplicemente un termine tecnico, che si riferisce all'applicazione contingente (qualche secondo al massimo) di una conseguenza negativa e che ha l'effetto di ridurre la probabilità che un qualsiasi comportamento si ripresenti in futuro.
Molti tipi di eventi, erogati come conseguenze di un comportamento, si adattano alla definizione di stimolo punitivo sopra citata:
a) punizione fisica: comprende tutti gli stimoli aversivi, ovvero quelli stimoli che attivano i recettori del dolore (es: ricevere una "sculacciata");
b) rimproveri: sono forti stimoli verbali negativi contingenti a comportamenti inoppropriati (es: "No! Questo non si fa!");
c) time-out: prevede che un individuo venga spostato da una situazione piacevole e gratificante a una che lo è meno, come conseguenza di un dato comportamento (es: far sedere vicino all'adulto un bambino che stava giocando con i suoi amichetti);
d) costo della risposta: consiste nel sottrarre una specifica quantità di un bene di cui l'individuo è già in possesso, a seguito di un comportamento inappropriato (es: restituire i soldi della "paghetta" o consegnare un gioco per alcuni giorni).
L'interrogativo è se la punizione, così come è stata definita, possa rappresentare una strategia efficace per intervenire sui comportamenti problematici di un minore. La risposta è affermativa, in linea teorica; tuttavia, l'attuazione di un programma d'intervento basato esclusivamente sull'impiego di tale tecnica, oltre ad essere particolarmente difficile da realizzare da un punto di vista pratico, spesso è anche controproducente e, quindi, sconsigliabile.
Il ricorso alla sola punizione, infatti, comporta una serie di problematiche ed effetti potenzialmente dannosi:
a) costituisce una fonte di frustrazione e quindi tende ad elicitare, in chi la subisce, un comportamento aggressivo;
b) può indurre, in chi la riceve, effetti spiacevoli sul piano emotivo, come l'umiliazione o uno stato generale di paura;
c) il bambino potrebbe associare la punizione alla persona che la eroga o alla situazione in cui viene subita, col risultato di indurlo a temerle e allontanarle;
d) non è di per sé educativa, in quanto non insegna che cosa fare, ma al massimo che cosa non fare;
e) non sempre è facile individuare uno stimolo davvero punitivo (es: mandare fuori dalla classe un alunno è sempre un provvedimento sgradito? Per esperienza personale direi proprio di no...);
f) è importante mantenere sempre la calma: spesso la reazione emotiva di chi punisce rappresenta un qualcosa di piacevole o desiderato (es: far arrabbiare qualcuno significa ricevere comunque delle attenzioni; talvolta è addirittura divertente!);
g) per essere efficace, lo stimolo punitivo deve essere presentato immediatamente dopo il comportamento indesiderabile e ogni volta che questo si presenta: entrambe le condizioni non sono facilmente rispetta, sia per motivi pratici che etici.
Per tutte queste ragioni, la punizione dovrebbe essere applicata solo in associazione ad altre strategie "positive" (come il rinforzo, lo shaping o il modeling), ovvero, utilizzando contemporaneamente tecniche che premiano i comportamenti desiderati. Tali tecniche, oltre ad assumere una valenza più educativa, presentano il vantaggio di aumentare l'autostima del bambino e di rafforzare il rapporto con l'adulto. Non c'è niente che ci renda più felici dei feedback positivi per ciò che facciamo e non possiamo che provare simpatia e riconoscenza nei confronti di coloro che ci gratificano!
Un suggerimento è quello di scegliere un comportamento alternativo desiderabile che sia antagonista rispetto a quello da punire, cosicché il comportamento alternativo possa essere premiato. Per esempio, se un bambino tende ad aggredire fisicamente il compagno che cerca di portargli via il gioco, si proporrà un comportamento alternativo, come quello di richiamare l'attenzione dell'adulto affinché risolva la questione, e lo si gratificherà tutte le volte che attuerà tale comportamento.
Ci tengo a far presente che, anche per quanto riguarda le tecniche "positive", vale la regola della tempestività: il premio, la carezza o il complimento, prima vengono erogati, meglio è!
Scritto da Libero psicologo