Progetti Didattici per la Scuola dell'Infanzia

Intercultura: una storia vera

LA STORIA DI SULTANA

“QUANDO CREDEVO CHE TUTTO IL MONDO FOSSE UGUALE…”

NON TUTTI HANNO GLI STESSI MOTIVI PER EMIGRARE…ma una persona decide di lasciare il proprio paese quando ha veramente qualcosa che causa gravi problemi; il motivo può essere politico, di lavoro o per vivere meglio in paesi che offrono maggiori possibilità di studio, cure mediche, ecc. 

Tutti gli emigranti pensano di trascorrere la vita più serenamente che nel passato, nessuno però ha piacere di trovarsi in un paese straniero, perché cambiare le proprie usanze, tradizioni, gli amici mi sembra una delle cose più “soffocanti” che esistano, e anch’io ho avuto questa sensazione: mi sembrava di stare nel buio. Papà aveva deciso di lasciare il Bangladesh, anche se si stava molto bene economicamente in quel periodo, e assicurava a noi figli un futuro più tranquillo. 

Io avevo cinque anni e non mi ricordo bene, ma mi sembra che non avevo proprio capito che ci stava lasciando: però, dopo, sentendo la sua voce per telefono capivo che ci mancava; non solo io, ma tutte le persone che hanno un familiare all’estero ne sentono la mancanza, è come una mutilazione. Papà era stato un paio di anni in Germania, dopo si trasferì in Italia dove pensò di far venire la mamma per qualche tempo; la mamma non era d’accordo per niente, perché non voleva stare lontana dai figli e così dopo qualche tempo papà decise di far venire anche noi quattro bambini.

Io non sapevo ancora che cosa si intendeva per cambiamento di paese: avevo solo nove anni e credevo che tutto il mondo fosse uguale e quel villaggio fosse come quando andavamo a trovare nonna. Il giorno in cui dovevamo partire fu molto faticoso, eravamo tutti occupati a fare qualcosa ed i parenti stavano intorno a noi come se li dovessimo lasciare per sempre: era la prima volta che eravamo così uniti. Non immaginavamo proprio di essere in Italia il giorno seguente, ma era vero, stavo sull’ aereo quando capii che ormai non potevo più ritornare e andavo verso un altro paese che non sapevo neanche da quale parte si trovava.

Arrivata in Italia, mi trovai in un mondo tutto diverso dal mio: la verità è che mi sembrava di essere nata allora e di dover apprendere tutto come un neonato che non sa niente del mondo che vede per la prima volta. Non capivo gli altri quando parlavano, non riuscivo a farmi capire dagli altri bambini; dovevo vestire in modo diverso sia per il clima sia per sembrare “uguale”; avevamo cambiato il modo di mangiare, perché il nostro cibo non si trovava; avevamo difficoltà a rispettare le nostre ricorrenze religiose perché non erano le stesse degli italiani. 

Con cultura, lingua, religione diverse sicuramente si incontrano difficoltà, solo che qualcuno riesce a superarle facilmente, invece qualcuno no. Io ed i miei fratelli, anche se dovevamo ritornare in Bangladesh e avevamo portato i nostri libri per studiare, iniziammo a imparare la lingua italiana da un amico indiano di papà che da tempo stava in Italia.

Per mettere a posto tutti i documenti ci voleva un anno; quindi noi bambini fummo iscritti alla lingua italiana. Ero piccola e non riuscivo a distinguere bene gli italiani che erano contenti di avermi tra loro. Comunque, riuscii facilmente ad inserirmi nella classe, nonostante la difficoltà della comunicazione, che spesso mi faceva stare in silenzio, ma ho avuto e continuo ad avere l’aiuto dei miei coetanei che non mi lasciano sola. Ormai mi trovavo bene, avevo fatto amicizia, però due anni sono pochi per creare un rapporto confidenziale con gli italiani, perché le differenze possono generare diffidenze ed equivoci…

Una cosa particolare che non notavo all’inizio è che in Italia mi sento più a contato con la mia famiglia, perché qui è l’unica cosa che ho. Mi viene subito da pensare a tutte quelle persone straniere in Italia che non hanno la propria famiglia e a quanto faticano per trovare un lavoro; ognuno non vede l’ora di  tornare al proprio paese. Forse è falso, però devo dire che è molto difficile alla mia età (oggi ho 15 anni) avere amici tra i coetanei, perché dopo sei anni non ho ancora capito il modo di pensare degli italiani. Certo, ognuno di noi è “diverso”, ma siamo anche tutti “uguali”. Spesso sento dire così, però non si riesce a trovare l’uguaglianza tra gli uomini.

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